Rileggevo proprio oggi il libro dell’antropologo Walter Ong: "Oralità e scrittura",
pensavo a come l’utilizzo della voce comporta un alto grado di coinvolgimento fisico ed emotivo. Ong ripercorre la storia del processo di alfabetizzazione a partire dall’ebraico, una lingua con alfabeto consonantico e sillabario ridotto, fino all’introduzione delle vocali che caratterizzerà l’alfabeto completo inventato dai greci. Questo favorì la crescita del pensiero analitico e intellettuale, nonché la concezione della parola come cosa e non più come evento. Interezza, spazialità e ordine sono concetti che la scrittura, con la sua presenza totalizzante, ha notevolmente rafforzato. L’oralità può essere concepita in quest’ottica, come un evento che si compie e svanisce lasciando soltanto il ricordo di ciò che è stato, e la parola orale come sostanza indefinibile, incapace di lasciarsi imbrigliare in una forma chiusa, soggetta a tutte le sollecitazioni del contesto sociale ove si compie...
Se, come sostiene Ong, la società orale tende all’estroversione e la società scritta all’introversione...
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