Una volta quando si domandava a qualcuno di dire chi fosse, abitualmente ci si sentiva rispondere: "sono un medico". Il mestiere dava un’identità.
Oggi, con la mobilità del lavoro, l’identità non è più data dal mestiere. Un medico può infatti dedicarsi alcuni anni alla chirurgia e poi passare a lavori dirigenziali o amministrativi nell’ospedale. Non dice più “sono un medico”, ma “faccio il medico”.
Una volta le persone vivevano in un ambiente omogeneo, come spazio, come relazioni, come interessi. Oggi le comunicazioni, i viaggi, gli ambienti di partecipazione sono estremamente diversificati e si succedono in maniera quasi simultanei, sovrapposti l’uno all’altro in una crescente complessificazione. L’identità non è più data da un mondo di appartenenza.
E l’identità dove è andata a finire? Non è, l’identità, il frutto della coerenza dei valori e delle scelte? L’assimilazione delle differenti esperienze attorno a un nucleo essenziale unitario? Ciò che rimane al di là delle relazioni che costituiscono la nostra esistenza?
Il grande sociologo Z.Bauman ha coniato l’espressione “identità liquida” a indicare la caratteristica principale dell’uomo nell’era post-moderna. Da un individuo con una identità stagliata, forte, definita spesso dalla società, si sta passando a un individuo che “spalma” la propria identità su una pluralità di dimensioni e di appartenenze. Il sociologo vede in questo passaggio delle potenzialità ma soprattutto dei rischi di quella che Durkheim chiamava “anomia”, esattamente una crisi identitaria, l’incapacità cioè di rispondere alla domanda fondativi della vita umana: <<Io, chi sono?>>.
Nessun commento:
Posta un commento